-- Essere vangelo --
Gb 7,1-4.6-7; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39;
-- (riflessione di p.Sergio Bastianel SJ) --
Forse tutti, qualche volta almeno, abbiamo sentito come Giobbe. Come non dargli ragione, almeno un pò? Cosa è mai la nostra vita? Cosa abbiamo concluso e cosa possiamo pretendere di concludere?
Ma forse, qualche volta almeno, siamo in grado di capire anche Paolo. Siamo stati incontrati dal Signore, chiamati e mandati da lui. Non è una delle tante esperienze della vita. Come possiamo dimenticarla? Vivere quella relazione con lui che il Signore ci ha donato è la nostra vita. Come possiamo non dire che lo abbiamo conosciuto? Cosa possono essere le nostre relazioni, se non espressione della vita in lui che ci è stata donata? Quali che siano le nostre condizioni concrete, che senso ha la nostra vita, se non “dice” il Signore? Guai a me se non annuncio il vangelo!
“Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch'io”: non è solo una cosa da fare, è una missione cui partecipare. Si potrebbe dire, in quale modo, che si tratta di essere vangelo.
Gesù annuncia il regno di Dio presente: Dio ama e salva ora. Come egli “dice” questa realtà presente, questo compimento della promessa, questa nuova alleanza? E come i discepoli capiscono questa parola? Nel brano di oggi, Marco racconta così:
Gesù predica nella sinagoga. Va nella casa di due tra i quattro che aveva già chiamato con sé. La suocera di uno dei due è malata, la guarisce, è loro ospite. A sera molta gente viene da lui, è una cosa pubblica (“tutta la città”, “davanti alla porta”). Guarisce molti. La mattina presto si ritira per pregare. I più vicini lo cercano e lo trovano. Sembra che abbiano già imparato qualcosa, perché non gli dicono le loro attese, ma quelle della gente: tutti ti cercano. Ma, come è stato anche per loro fin dall'inizio, Gesù e la parola che egli dice non sono il risultato della loro o altrui ricerca. È Gesù che cerca e fa interlocutori. Devono andare altrove, egli deve incontrare altri, è venuto per questo, egli è questa parola che dice Dio presente, la salvezza presente. I discepoli imparano. Alla fine del racconto evangelico essi sono mandati e in qualche modo sono loro stessi questa parola, perché il Signore è in loro e li fa essere vangelo.
Un brivido alla schiena? Sì, così siamo chiamati ad essere e non ne siamo a misura. Ma il Signore con noi lo può. Il suo chiamarci, il suo farci discepoli, il suo mandarci, sono il suo essere in noi. Guai a noi se non annunciamo il vangelo! Essere “parola del Signore” è la nostra salvezza, la nostra vocazione, la nostra vita credente.