Es 17,3-7; Sal 94; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42;
-- (riflessione di p.Sergio Bastianel SJ) --
Acqua, mancanza di acqua, sete. Sono tante le cose di cui abbiamo bisogno per vivere. Altrettante sono le cose la cui mancanza ci fa paura, o comunque scopre la nostra reale fragilità.
Dov'è Dio in queste situazioni? E dove noi scegliamo di essere?
Nella prima lettura è narrato di un popolo stremato daĺla sete per la mancanza di acqua potabile: la paura di morire, la paura del futuro fa dimenticare la realtà, la grandezza e la gioia sperimentata della liberazione; questo poi lo grida contro Mosè e contro Dio, si ribella a un progetto che non capisce più.
Ma Dio li conosce da sempre, conosce anche la loro debolezza. Egli vuole davvero la loro salvezza e a un popolo di ribelli risponde facendo sgorgare per loro l'acqua dalla roccia. Questo nuovo segno della sua presenza per loro permette una continuità di ricordo, riprende e rinsalda un storia di fede.
Nel brano del Vangelo è ricordata una donna samaritana, fiera di sé e della sua appartenenza. L'acqua se la deve e vuole procurare da sé, a un pozzo che poi è quello di Giacobbe, realtà e memoria delle grandi tradizioni dei Padri. Ed è nel loro territorio quel pozzo.
Povero viandante giudeo assetato, che si deve abbassare a chiedere ad una donna samaritana di attingere dell'acqua per lui… Sembra essere un poco così ciò che appare alla donna. Appartiene all'incarnazione. In fondo, con tante varianti quante sono le persone che incontra, è forse il quotidiano della vita di Gesù. Egli e la sua missione sono sempre affidati alla libertà di altri, in un intreccio di relazioni che egli non “domina” ma che altri possono voler dominare. Anche questa donna, con la sua storia e il suo temperamento, incontra Gesù così come essa è già diventata nel suo mondo. Eppure nella sua schiettezza riconosce in quel povero giudeo, nel suo parlare e nel complessivo modo della sua relazione con lei, una presenza cui non può non dare credito. Quando il parlare di Gesù tocca direttamente la vita della donna, lei non si sente condannata ma come chiamata, fino alla rivelazione: sono io che ti parlo, io per la tua vita.
E la donna se ne va con questa “acqua” che la fa vivere, che cambia la sua vita, che zampilla per la vita eterna.
Nella fragilità del giudeo assetato, nella fragilità concreta dell'umano, possiamo incontrare e riconoscere il Signore. Dio porta a compimento il suo dono in noi. La speranza in Lui non è sogno che delude, lo Spirito è vivente ed operante in noi, in noi ha portato l’amore di Dio e lo fa diventare vita nostra, ci fa viventi in Cristo.
Quale che sia la condizione che attraversiamo, questa è la nostra realtà. Amati da Dio, presente ed operante in noi. Lasciamolo operare ... con fiducia e gratitudine.